Prospettiva Olmi.
Retrospettiva omaggio a Ermanno Olmi

La prima azione di FIC x BGBS2023, il progetto alla (ri)scoperta dei tesori nascosti nelle due città e nei territori circostanti attraverso il cinema e i suoi protagonisti

Città e campagna, industrializzazione e agricoltura, urbanizzazione e natura. E i tempi, le aspirazioni, i rapporti, profondamente differenti nei due contesti. Su queste coppie di antinomie si muove la Lombardia, non solo nell’accentramento urbano e industriale che si è sviluppato intorno a Milano, ma anche negli altri contesti, come l’area che comprende Bergamo e Brescia, fino al lago di Garda e con le valli e le montagne circostanti. Un mondo fatto di mutazioni e contrasti che, nonostante il suo enorme interesse dal punto di vista economico, sociale e culturale ai fini di una narrazione dei mutamenti antropologici del nostro Paese, non è stato descritto a dovere dal cinema, specchio visibile di una società che cambia. Nonostante la Lombardia sia la regione trainante l’Italia, il cinema l’ha raccontata poco, limitandosi per lo più a Milano, intesa come polo attrattivo dell’emigrazione e, con il passar degli anni, centro propulsivo dell’autunno caldo, della moda, dell’alienazione. Naturalmente ci sono state le eccezioni, autori che hanno messo al centro del loro sguardo e della loro poetica proprio soggetti ed elementi chiave del patrimonio umano e geografico lombardo.

Su tutti, un vero e proprio maestro del cinema: Ermanno Olmi, originario di Bergamo, cresciuto a Treviglio, esordiente nel cortometraggio industriale all’inizio degli anni ‘50 e nel lungometraggio alla fine del decennio; fin dal suo secondo film, Il posto (1961), Olmi è uno dei giovani autori più apprezzati delle nouvelles vagues mondiali. Non solo il narratore dell’epopea contadina della famiglia di Palosco, nella campagna bergamasca, di L’albero degli zoccoli (Palma d’oro a Cannes nel 1978), parlato in dialetto bergamasco, o dell’avventura umana e spirituale di Papa Giovanni XXIII, in E venne un uomo (1965), ma anche un acuto osservatore delle conseguenze psicologiche del passaggio dalla provincia alla città e, soprattutto nei cortometraggi industriali, un vero e proprio “cantore”, a volte critico a volte ammirato, del progresso industriale. Una retrospettiva dedicata a Ermanno Olmi non è solo l’omaggio a uno dei più importanti cineasti italiani, ma è soprattutto il compendio ideale dell’equilibrio (o squilibrio) tra l’anima urbana e industrializzata e quella contadina (o provinciale) e spesso destabilizzata che caratterizza lo sviluppo economico dell’area geografica Bergamo-Brescia (con inevitabili richiami a Milano).

Prospettiva Olmi è una retrospettiva omaggio dedicata al grande Maestro, con tre focus speciali e proiezioni in itinere tra location olmiane e non, panel con ospiti e critici cinematografici.

Prospettiva Olmi a Bergamo

Il focus in BFM 41 propone due film di Olmi, Un certo giorno (1969) e I recuperanti (1970), più il mediometraggio d’esordio di Giorgio Diritti, Quasi un anno (1992), coprodotto da Ipotesi Cinema, la scuola-laboratorio fondata da Ermanno Olmi. Il coinvolgimento di Giorgio Diritti – peraltro già vincitore di Bergamo Film Meeting nel 2006 con Il vento fa il suo giro – ci è parso suggestivo per legare la sua esperienza di regista esordiente a quella fucina creativa (Ipotesi Cinema) da cui hanno preso le mosse diversi registi italiani, tra la seconda metà degli ’80 e i primi ’90.
Quasi un anno è un film per la TV della durata di 71’, girato con tecnologia digitale, che racconta una sghemba storia d’amore interpretata da non attori professionisti e ambientata nella pianura piacentina attraversata dal Po (vero e proprio personaggio aggiunto della vicenda), tra un protagonista maschile sognatore e – secondo i parametri della cosiddetta normalità – inconcludente, e una ragazza incontrata per caso sulla riva del fiume in un caldo pomeriggio estivo.

Evento speciale BFM 41: panel con Giorgio Diritti, introdotto e condotto da Lorenzo Donghi (ricercatore presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Pavia, dove insegna Storia e critica del cinema e Cinema espanso), per raccontare della sua esperienza nel gruppo-laboratorio di Ipotesi Cinema e del lavoro da cui è uscito Quasi un anno: il progetto e le modalità di lavoro che hanno portato alla sua produzione e realizzazione, ma anche un modo per parlare del segno lasciato da Olmi.

Sabato 18 marzo — h. 9.00, Auditorium di Piazza della Libertà
UnCertoGIorno_04_LidiaFuortes-1-1080x807
Un certo giorno di Ermanno Olmi (Italia, 1969, 104′)

In seguito all’infarto che ha costretto il consigliere delegato di un’agenzia pubblicitaria a mettersi a riposo, Bruno si vede aperta la strada alla promozione. Nello stesso periodo, intreccia una relazione con una giovane intervistatrice. Convocato a Francoforte dai dirigenti della sede centrale, sulla via dell’aeroporto, Bruno investe un ciclista, che di lì a poco morirà in ospedale. Il suo avvocato sistema tutto, ma l’episodio lo sconvolge profondamente. Bruno intraprende un serio esame di coscienza, che lo porta a riavvicinarsi alla moglie e a ridimensionare le sue ambizioni di carriera.

Il protagonista di Un certo giorno è meno un uomo, meno un personaggio, che l’interprete coatto e sostanzialmente impartecipe della condizione umana. La banalità e la stanchezza dei suoi gesti, la loro incapacità di connettersi l’uno all’altro e di significare sono funzionali al racconto e rigorosamente pregnanti. Le situazioni sono sfuocate e funzionali nella misura in cui non si dà alcun rapporto autentico fra una realtà mercificata e l’uomo che è complice e vittima della mercificazione. Il protagonista del film, dirigente di un’azienda pubblicitaria, non riesce a vedere al di là del falso orizzonte che egli stesso ha contribuito a creare. La possibilità di venire promosso al posto del suo superiore, costretto a casa da un infarto, si presenta ai suoi occhi nell’aspetto meccanicamente simbolico e mistificato di una speranza di vita. I suoi rapporti con la moglie e la figlia sono devastati e devitalizzati dalle stesse scariche di aggressività artificiale che condizionano il suo comportamento aziendale e costituiscono, nello stesso tempo, l’oggetto della sua attività pseudo creativa. Anche le sue vicende extraconiugali recano lo stesso segno di anestesia, di non appartenenza.

(Giovanni Raboni, Un certo giorno, «Letture», anno XXIV, n. 5, maggio 1969)

Venerdì 17 marzo — h. 11.15, Auditorium di Piazza della Libertà
05_Albero degli zoccoli
I recuperanti di Ermanno Olmi (Italia, 1970, 97’)

Gianni, giovane reduce dalla campagna di Russia, è appena tornato a casa sua sull’Altopiano di Asiago e pensa di sposare la sua fidanzata Elsa, ma non ha abbastanza soldi per mettere su casa. Si unisce quindi al vecchio Du, che intende arrampicarsi sui luoghi delle battaglie nella Grande guerra per recuperare il materiale bellico lì rimasto. È un mestiere faticoso, e anche pericoloso: fra i vari residuati metallici c’è spesso dell’esplosivo, e altri recuperanti ci rimettono la vita. Gianni decide di seguire il consiglio di Elsa, e lascia il vecchio Du per un lavoro più sicuro.

Il metodo di Olmi, la tecnica della sua esposizione narrativa, raggiunge un nuovo livello di raffinatezza nella fusione di motivi visivi e tematici in Un certo giorno, pur restando fedele alla sua forma caratteristica. Tale complessità stilistica non è presente nel più recente film di Olmi, I recuperanti, fatto per la televisione, per quanto dal punto di vista tematico esso non si discosti dalla produzione di Olmi, rifacendosi per certi versi alla circostanza drammatica di Il tempo si è fermato (l’incontro tra un uomo più vecchio e uno più giovane). Ma il concetto di “comunione con la natura” è qui espresso in maniera esplicita, venendo il concetto di lavoro a collocarsi direttamente entro l’ambiente naturale. Tematicamente, I recuperanti è la summa dell’opera di Olmi, nel suo esame dei complessi rapporti tra l’uomo, il lavoro, l’ambiente naturale e la responsabilità individuale rispetto alla natura qualitativa di tale rapporto. Il presupposto formale del distacco del protagonista, del suo isolamento dal mondo abituale (distacco sia mentale che fisico) è presente come nei primi film, e fornisce la necessaria “alienazione” perché l’uomo raggiunga una nuova e vitale comprensione della propria esistenza.

(Martin Walsh, Ermanno Olmi. The Ethic of Individual Responsability, «Monogram», Vol. I, No. 2, estate 1978)

Giovedì 16 marzo — h. 10.45, Auditorium di Piazza della Libertà (Ingresso libero, senza prenotazione)
Diritti QuasiUnAnno 1
Quasi un anno di Giorgio Diritti (Italia, 1992, 71’)

Pino è un attore che vive ritirato nell’Oltrepò. Passa le sue giornate scrivendo, o andandosene in giro nei dintorni, scambiando due chiacchiere con i negozianti, gli anziani del bar, gli avventori delle balere, gente incontrata in giro, e riprendendo persone, luoghi e situazioni varie con la sua videocamera. Un giorno, durante l’estate, in riva al Po attacca bottone con Rita. I due prendono a frequentarsi, ma il vivere alla giornata di Pino, nonché una certa sua propensione al bere, ben presto fanno allontanare la ragazza. Arriva l’autunno, poi l’inverno. Pino e Rita si incontrano per caso, ma ormai è tutto finito.

Cosa non è Ipotesi Cinema. Ipotesi Cinema non è una scuola. O, almeno, non lo è in senso tradizionale. Non si effettuano corsi, non vi sono materie di insegnamento. Non ci sono allievi e, tantomeno, insegnanti. Non si rilascia nessun attestato di frequenza. Non si consegue nessun brevetto, nessun diploma. Per essere ammessi non è richiesto nessun titolo. Non c’è da superare nessun esame, nessuna selezione preventiva. La frequenza non è programmata ma in funzione, di volta in volta, delle necessità. È libera e (ce lo auguriamo!) illimitata nel tempo. Le porte sono sempre aperte, sia per entrare che per uscire.

Cosa è Ipotesi Cinema. Ipotesi Cinema è un gruppo di cineasti. Eterogeneo per età, esperienza, capacità, idee, linguaggio, stile. Omogeneo per anticonformismo, rifiuto del falso, dello stereotipo, per curiosità e rispetto della realtà come essa è, per desiderio di originalità, autenticità, novità. Da questa “eterogeneità-omogeneità” scaturisce la “dinamica formativa” di Ipotesi Cinema, Dallo scambio, il confronto e la verifica delle proprie idee e delle proprie esperienze, in un percorso comune. La pratica di un’attività in collettivo ma nel rispetto più totale delle singole individualità. Per intenderci: lavoro “in” gruppo e non “di” gruppo.

(Lettera ai candidati per “Ipotesi Cinema”)

Giovedì 16 marzo — h. 12.15, Sala Galmozzi, Bergamo (Ingresso libero, senza prenotazione)
Panel con il regista Giorgio Diritti

Incontro con il regista Giorgio Diritti, introdotto e condotto da Lorenzo Donghi (ricercatore presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Pavia, dove insegna Storia e critica del cinema e Cinema espanso).

Giorgio Diritti (Bologna, 1959), peraltro già vincitore di Bergamo Film Meeting nel 2006 con “Il vento fa il suo giro”, firma il suo esordio alla regia nel 1992 con un mediometraggio per la TV (“Quasi un anno”) prodotto da Ipotesi Cinema, la scuola-laboratorio fondata a Bassano del Grappa dieci anni prima da Ermanno Olmi e Paolo Valmarana. Dalla stessa scuola prenderanno le mosse diversi registi italiani tra la seconda metà degli ’80 e i primi ’90, che scelgono di mettere l’accento su un nuovo modo di fare cinema. La testimonianza di Diritti, che racconta delle modalità di lavoro che hanno portato alla produzione e alla realizzazione del film, diventa un modo per parlare del segno lasciato da Olmi nella sua filmografia.

Prospettiva Olmi a Brescia

Prospettiva Olmi è una retrospettiva omaggio dedicata al grande Maestro, con focus speciali e proiezioni in itinere tra location olmiane e non, panel con ospiti e critici cinematografici.

Ingresso omaggio per gli abbonati Cineforum, tesserati FIC, abbonati Abbonamento Musei.

Mercoledì 3 maggio — h. 21.00, Cinema Nuovo Eden, Brescia
Lunga vita alla Signora_01
Lunga vita alla signora! di Ermanno Olmi
(Italia, 1987, 115’)

Sei studenti dell’alberghiero, Libenzio, Corinna, Anna, Mao, Ciccio e Pigi, vengono inviati a servire, presso un castello-hotel, a un banchetto in onore della Signora. Il castello si presenta come la tradizione vuole, con ombre, sbarre, e cigolii; quanto agli ospiti, sono per lo più attempati e grotteschi, a eccezione di una splendente Contessina. La Signora è una specie di mummia che si diverte a spiare i commensali con un binocolo. Libenzio, un po’ per volta, matura la decisione di darsi alla fuga, incoraggiato dallo sguardo della stessa Contessina e terrorizzato dalle avances di una matura ospite. 

Lunga vita alla signora di Ermano Olmi è una fantasia dolce, una favola di buon umore sulle pretese divoratrici della vita adulta. Un gruppo di giovanissimi apprendisti camerieri e cameriere viene assunto da un albergo per aiutare a un banchetto. La sede è un castello che sembra uscito dalle pagine del romanzo Mysteries of Udolpho di Ann Radcliffe; gli ospiti ostentano arie di grandiosità, ma sono inamidati nei modi e decrepiti nell’aspetto; il cibo è misterioso, raffinato e disgustoso. Il personale residente ha una maestosità sacerdotale; la macchina da presa si sofferma sui volti allarmati dei novizi, che sembrano essere stati lì convocati per essere dati in pasto al Minotauro. In effetti ci sono diverse strane bestie in vista: un mastino sbavante, il pesce grottesco che costituisce il fulcro del banchetto e la stessa padrona di casa, che assomiglia a un cadavere semi rianimato. Anche questo è un mondo rigidamente ordinato; ma a volte grida anarchiche esplodono dalle viscere del castello. I dialoghi sono scarni e l’azione evita qualsiasi tipo di inutile vivacità, ma il fascino e l’ottimismo del film sono piuttosto distintivi. 

(Hilary Mantel, Long Live the Lady!, «The Spectator», 17 settembre 1988)

Mercoledì 10 maggio — h. 21.00, Cinema Nuovo Eden, Brescia
Centochiodi
Centochiodi di Ermanno Olmi (Italia, 2007, 92’), versione 35mm

Nella sala di lettura di un’antica biblioteca qualcuno ha inchiodato al pavimenti, ai tavoli e agli scaffali un numero imprecisato di antichi incunaboli. L’autore del gesto è un giovane professore, che subito dopo lascia la città per rifugiarsi in un paesino lungo le rive del fiume. Alcuni abitanti si avvicinano, incuriositi da questo strano personaggio. Tra loro c’è una ragazza, fresca e spontanea, e un giovane postino, che lo avvicina e chiacchiera con lui. Poco a poco la comunità si abitua e affeziona alla presenza dello straniero, tanto da chiedergli aiuto quando il luogo è minacciato da una speculazione edilizia.

Centochiodi ha tutti i caratteri di un film testamento: per il soggetto che propone, per la lucidità con cui lo affronta, per lo stile eccezionalmente maturo che coniuga una spiritualità e una concretezza d’immagine rare a trovarsi al cinema. Olmi ha il coraggio di mettere in scena un nuovo apologo su Gesù Cristo con un impeto polemico che evoca Dostoevskij, una nitidezza d’immagini che fa pensare a Bresson, una leggerezza danzante vicina a Fellini. Dietro le immagini serene della vita di paese, o lo sguardo limpido di un sorprendete Raz Degan, trapela un’invettiva senza acrimonia ma determinata, dura e pura, contro coloro che manipolano il senso della vita, della fede, dei libri. Tutt’altro che predicatorio, il misticismo del regista lombardo ha questo d’impagabile: saperci raccontare di un Cristo quotidiano, che potremmo incontrare in un giorno e in un luogo qualsiasi, con la più assoluta naturalezza, rendendocelo familiare e facendo di noi amici tra i suoi amici. Olmi ci lascia con un compito enorme di enorme responsabilità: scegliere l’amore anziché l’odio, la pace al posto della guerra dipende unicamente da noi. 

(Roberto Nepoti, «La Repubblica», 30 marzo 2007)

Martedì 13 giugno — h. 21.30, L’Eden d’Estate, Brescia / Museo di Santa Giulia, Parco del Viridarium
Il posto_Sandro Pansieri_Loredana Detto
Il posto di Ermanno Olmi (Italia, 1961, 105′)

Di famiglia operaia e abitante a Meda, un paese nei dintorni di Milano, Domenico si reca presso una grande azienda per sostenere il primo di una serie di colloqui in vista di una possibile assunzione. Conosce Antonietta, una ragazza a sua volta alla ricerca di un posto; in un intervallo, i due fanno una passeggiata in città. Qualche tempo dopo, Domenico viene assunto come fattorino, in attesa che si liberi un posto da impiegato. Riesce a vedersi ancora una volta con Antonietta, ma quando, a seguito della morte di un altro impiegato, si libera un posto per lui, i due ragazzi ormai si sono persi di vista. 

In Olmi la particolareggiata osservazione della vita quotidiana è selezionata e rimpastata poeticamente. Il posto è, a un primo sguardo, l’accurato e a tratti comico resoconto di come un ragazzo vada a caccia di un posto presso una grande e solida azienda. Per quanto strano, il tono di Il posto ricorda da vicino quei film di giovani americani che provano a puntare lo specchio del cinema sul lato brutto della vita cittadina. Come loro, Olmi sa bene che questo freddo, massiccio, terrificante scenario non è interessante; ma, diversamente da costoro, egli ha a disposizione un metodo di osservazione ravvicinata e sensibile del personaggio, in particolare della sua sofferenza. «Questo è tutto quello che c’è», è la posizione fondamentale di Olmi: giovani in cerca di un lavoro che arriveranno presto a detestare, vaganti fra grattacieli impersonali, negozi gremiti di merci costose, imperscrutabili tirannie burocratiche. La sola cosa che valga la pena di un po’ di seria attenzione è la personale e occasionale solitudine. È appunto questo tono stilistico, che si fonde così bene con il suo interesse per la gente solitaria – isolata, esclusa da qualsiasi tipo di attività soddisfacente –, a fare di Olmi un regista di prima qualità. 

(Ernest Callenbach, Il posto, «Film Quarterly» Vol. 17, No. 4, estate 1964)

Martedì 27 giugno — h. 19.00, L’Eden d’Estate, Brescia / Museo di Santa Giulia, Parco del Viridarium
Incontro con Elisabetta Olmi e Emanuela Martini

IL CINEMA DI ERMANNO OLMI
Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria (cup@bresciamusei.com, 030 2977833)

Martedì 27 giugno — h. 21.30, L’Eden d’Estate, Brescia / Museo di Santa Giulia, Parco del Viridarium
Il mestiere delle armi
Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi
(Italia, Francia, Germania, Bulgaria, 2001, 100′)

Nel novembre 1526 un’orda di Lanzichenecchi guidata da Georg von Frundsberg e al soldo dell’imperatore Carlo V, punta su Roma. Alleato dei pontifici, il capitano di ventura Giovanni de’ Medici, soprannominato “delle Bande Nere”, vuole contrastare le truppe straniere ma patisce sia il tradimento di Alfonso d’Este, duca di Ferrara (che regala a Frundsberg quattro bocche di cannone), sia l’opportunismo dei Gonzaga. Attacca con successo la retroguardia lanzichenecca ma la sera del 25 novembre viene colpito da un colpo di falconetto che gli fracassa uno stinco. La cancrena che ne segue lo porta a una fine prematura. 

Olmi “prepara” il personaggio di Giovanni attraverso un lavoro di messinscena che lo fa assorbire progressivamente dal paesaggio, dagli elementi naturali e meteorologici, mostrandoci da un lato tutta la sua determinazione di guerriero e comandante e dall’altro la fisicità della sua appartenenza al mondo, il suo esserne “fibra” sullo stesso piano di tutti coloro che insieme a lui o contro di lui combattono attraversando la pianura, siano essi portatori di nomi che la Storia saprà ricordare o anonimi soldati destinati all’oblio una volta caduti sul campo. È in questo modo che ci conduce a vegliarne l’agonia come testimoni non di un evento mirabile e insieme mostruoso, ma, per così dire, di una dimostrazione e di un riconoscimento: che anche nel mestiere delle armi, esercitato come una vocazione o assunto come un dovere (da questo punto di vista c’è forse qualche differenza tra questo Giovanni de’ Medici e il guardiano di dighe Natale in Il tempo si è fermato o quell’altro Giovanni, operaio specializzato in trasferta da Milano alla Sicilia, ne I fidanzati?), può comunque nascondersi il segreto di una compiuta umanità. 

(Adriano Piccardi, I due soldati, «Cineforum» n. 406, luglio 2001)

Giovedì 1 giugno — h. 19.00, San Felice del Benaco
RupiDelVino_01-scaled
Rupi del vino di Ermanno Olmi (Italia, 2009, 54’, col.)

«Cinque sono i motivi per bere: l’arrivo di un amico, l’eccellenza del vino, la sete presente e futura, e quant’altro si voglia aggiungere». Partendo dalle parole di Oddone Colonna, papa Martino V, e sulla scorta di saggi scritti da Pietro Ligari, pittore, architetto e agronomo settecentesco, e da Mario Soldati, scrittore e regista ma anche finissimo intenditore di cibi, vini e territori, Ermanno Olmi compie un viaggio tra le valli, le rocce vive e la cultura delle colline valtellinesi, alla ricerca di una tradizione antica e di vini eccezionali.

Le stagioni scandiscono le fasi degli innesti, c’è il tempo dell’attesa quando le piante riposano e quello dell’attività, la cura delle viti, poi la raccolta dei grappoli, infine il vino. Abbiamo forse semplificato questa narrazione che ha nel suo ripetersi un senso rituale a cui si mescolano le voci dei due testi e le immagini di un presente che sembra ancora arcaico. Quasi stride l’accostamento dell’elicottero che porta su la terra per il nuovo terrazzamento e quei lembi di periferia cittadina, Sondrio, che finisce sul confine della campagna. Poco importa se poi questa immagine della Valtellina risponda a quella attuale, non è la cosa che più sembra interessare Olmi. Il suo sguardo si sofferma infatti sulla sacralità che c’è in questo fare, sono molto belle le riprese degli uomini a lavoro sulle terrazze, Olmi sa come pochi filmare il gesto del lavoro in campagna che è l’espressione di una conoscenza millenaria. È lì e senza retorica della nostalgia, che prova ad arrivare la sua telecamera, e questo film, ritratto di un mondo narrato con la grazia del presente come memoria necessaria.

(Cristina Piccino, «Il Manifesto», 20 ottobre 2009)

Venerdì 2 giugno — h. 10.00, Fondazione Raffaele Cominelli, San Felice del Benaco
Incontro speciale con gli autori: Emanuela Martini e Maurizio Zaccaro

a seguire

Venerdì 2 giugno — h. 11.30, San Felice del Benaco
Torneranno-i-prati_01
Torneranno i prati di Ermanno Olmi (Italia, 2014, 114’)

Siamo sul fronte Nord-Est, dopo gli ultimi sanguinosi scontri del 1917 sugli Altipiani. Il racconto si svolge nel tempo di una sola nottata. Gli accadimenti si susseguono sempre imprevedibili: a volte sono lunghe attese dove la paura ti fa contare, attimo dopo attimo, fino al momento che toccherà anche a te. Tanto che la pace della montagna diventa un luogo dove si muore, in attesa che, finite le ostilità, possano infine tornare i prati. Tutto ciò che qui si narra è realmente accaduto. E poiché il passato appartiene alla memoria, ciascuno lo può evocare secondo il proprio sentimento.

[dal pressbook del film] 

L’understatement caratterizza la recitazione di attori dal volto anonimo a esclusione di Claudio Santamaria, il commento musicale calibratissimo ed essenziale di Paolo Fresu, la magistrale fotografia di Fabio Olmi, con il colore che implode in un bianco e nero più “morale” che suggestivo, segno di uno sguardo che rifiuta pregiudizialmente ogni leziosità filologica. Il suo pudore espressivo, una compattezza che si esprime anche nell’impeccabile scelta dei tempi fanno risaltare l’orrore per contrasto più di qualsiasi urlo, perorazione o proclama. Alberto Farassino sosteneva che il cinema di Olmi racconta quasi sempre la stessa cosa, cioè un passaggio d’epoca colto attraverso i mutamenti della cultura materiale. Ci sembra che la considerazione possa valere anche per Torneranno i prati, che dello spazio angusto di una trincea riesce a fare microcosmo di provenienze geografiche e sociali, anime e destini, luogo e momento di svolta per un’intera nazione. Se con La grande guerra (1959) Monicelli riusciva – scandalosamente, per i tempi – a contaminare l’enormità della tragedia con i modi della commedia, il regista bergamasco ne coglie l’essenza sul piano della dignità umana ferita ma anche della dolorosa costruzione di una koiné, chiudendo più di cinquant’anni dopo il cerchio di un dittico da consegnare alla storia della Settima arte.

(Paolo Vecchi, La paura e la neve, «Cineforum» n. 540, dicembre 2014)

Venerdì 2 giugno — h. 15.30, San Felice del Benaco
Terramadre_02
Terra Madre di Ermanno Olmi (Italia, 2009, 78’)

Nel luglio del 2006 Ermanno Olmi partecipa, su invito di Carlo Petrini, al Forum mondiale dei contadini tenuto a Torino nell’ambito di “Terra Madre”, incontro mondiale delle comunità del cibo, in coincidenza con il Salone del Gusto. In tale occasione il regista inizia le riprese dell’evento che proseguiranno poi grazie al lavoro di alcuni fedelissimi amici che andranno in giro per il mondo al seguito dei contadini ospiti di “Terra Madre”. Lo scopo non è quello di far vedere un mondo in via di estinzione, quanto piuttosto mostrare la poesia e le suggestioni del lavoro e delle vite di quanti ancora coltivano e rispettano la terra. Tutto ciò con un occhio al futuro.

Più che girato direttamente, il film è concepito e composto da Olmi, che ha sguinzagliato per l’occasione sodali vecchi e nuovi, fra i quali Maurizio Zaccaro in India e l’eremita Franco Piavoli a registrare foglia per foglia come crescono le colture sotto i Monti Lessini. Si comincia da una pittoresca cronaca della seconda edizione del meeting mondiale “Terra madre” (Torino, ottobre 2006) animato da Carlo Petrini di Slow Food. Un altro Carlo, quello d’Inghilterra, si aggira anche lui da convinto militante ecologico fra le centinaia di delegati venuti da ogni parte del mondo per confrontarsi sul tema fondamentale: è possibile cambiare il corso delle cose? Intervengono storici, sociologi, contadini, gente comune. E intanto la macchina da presa spazia in varie parti del mondo fornendo immagini a supporto, a volte struggenti a volte incantevoli. A differenza che nei prodotti Disney, qui non c’è patina, niente animaletti antropologici che danzano: c’è la realtà nuda e cruda ed è già abbastanza per fare spettacolo nel rapido trascorrere dall’informazione, dalla polemica e dalla denuncia alla poesia più rarefatta. Bellissima la frase fiduciosa di uno studente del Massachusetts che ha creato un orto modello: «Le piccole cose diventano grandi cose». Potrebbe essere il motto di tutta la sorprendente carriera, non solo cinematografica, di Ermanno Olmi, che da autore minimalista è pervenuto ai massimi problemi.

(Tullio Kezich, «Corriere della Sera», 8 maggio 2009)

EVENTO SPECIALE Martedì 10 ottobre — h. 20.45, Cineteatro Qoelet di Redona – Sala della Comunità, Bergamo.
In occasione del 60° anniversario della morte di papa Giovanni XXIII (3 giugno 1963) e del 60° anniversario dell’enciclica Pacem in Terris (11 aprile 1963), un omaggio alla figura di Papa Roncalli attraverso lo sguardo del grande Maestro bergamasco.

Presentano il film Don Ezio Bolis, presidente della Fondazione Papa Giovanni XXIII, ed Elisabetta Olmi, produttrice cinematografica e figlia di Ermanno.

PRENOTAZIONE
La proiezione è a ingresso libero, ma è tuttavia necessaria la prenotazione, effettuabile fino alle ore 12.00 del giorno stesso dell’evento, presso:
mail teatroecinemadelsacro@fondazionebernareggi.it
tel. 035.278151 (dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 12.00)

E venne un uomo 02
E venne un uomo di Ermanno Olmi (Italia, Gran Bretagna, 1965, 85’)

Sulla base dei diari di Papa Giovanni XXIII, viene raccontata la sua vita. Essendo la figura di Papa Roncalli difficile, se non impossibile da incarnare, Rod Steiger, nel ruolo centrale, fa da “mediatore”, da intermediario tra il Papa e il pubblico. Seguiamo così la sua parabola esistenziale e spirituale dall’infanzia a Sotto il Monte, nella campagna bergamasca, agli anni del seminario e al lavoro come segretario per il vescovo di Bergamo monsignor Radini Tedeschi, dalle esperienze come inviato pontificio in Bulgaria e Turchia alla nunziatura a Parigi, dal patriarcato a Venezia all’elezione al Soglio Pontificio.

Al di là della volontà agiografica del film, le prime sequenze di E venne un uomo hanno il fascino delle cose perfette. Accanto ai personaggi modesti di Sotto il Monte, così come sono oggi, di onesti pensieri, di scarne parole, di sincere preghiere, di molta virtù, di fronte ai loro atteggiamenti ancestrali e dignitosi, fermi a una probità mitica piena di rispetto per Dio, per il prossimo, per sé, Olmi si è ritrovato d’istinto. Quelle veglie con il Rosario in mano, quei conversari pacati e lenti, quel giro attorno al desco fiorito di barbe ispide e di occhi infantili, Olmi li aveva già incontrati nei suoi documentari: erano le stesse persone, quasi le stesse famiglie, erano le stesse pareti, quasi le stesse cascine. Il “mediatore” non ha bisogno neppure di dover interpretare le scene, ma di ricordarle appena, senza forzature, con analoghe presenze di ottant’anni fa. Anche i fatti si acquietano così in un idillico contesto di “fioretti” rusticani: Olmi, per virtù sua nativa, li sa raccontare con candore e ingenuità, ma anche con nostalgico amore per una semplicità di modi e di rapporti che sembra oggi confinata fuori dal mondo e che il regista sente tuttavia congenialmente sua, e preso da commozione, confidenzialmente, finisce per attribuire anche alla lontana infanzia e adolescenza di Angelo Giuseppe Roncalli.

(Alberto Pesce, Ermanno Olmi: Il monologo che diventa dialogo, ovvero “E venne un uomo”, «Cineforum» n. 50, dicembre 1965)

L’Albero e il Villaggio, così lontani e così vicini. Umanità, religione e politica nel cinema di Ermanno Olmi. Un incontro a 3 voci e 2 film

1° dicembre 2023, Sala Galmozzi (Via Tasso, 4) e Auditorium di Piazza della Libertà, Bergamo

L’albero degli zoccoli nel 1978 si concentra sulla rappresentazione dell’esistenza misera e precaria di alcune famiglie di contadini in una cascina della bassa bergamasca di fine Ottocento, dove quasi nulla appartiene loro: il grande proprietario terriero per il quale lavorano esercita su di loro un potere pressoché assoluto. Nel 2011, 33 anni dopo, Ermanno Olmi ne Il villaggio di cartone torna a raccontarci le vicende “invisibili” di un gruppo di persone dominate dalla precarietà: un gruppo sbandato di migranti africani, braccato dalla polizia e dalle “ronde” in nome di una legge disumana.
Due situazioni storicamente lontane tra loro, in entrambe le quali, però, parole come solidarietà, fratellanza, dignità si sono svuotate di ogni valore. In entrambi i casi la religione e i suoi ministri assumono un ruolo chiave a partire, però, da una relazione col potere molto diversa.

L’evento conclusivo del percorso tracciato in “Prospettiva Olmi” vuole condurre una riflessione partendo dal confronto tra questi due titoli, muovendosi tra analisi filmica e considerazioni più ampie che queste due storie – così lontane e così vicine – sanno generare: in particolare su quale sia il pensiero di Olmi a proposito della religione e della politica, intese come esercizio del potere o come difesa degli ultimi.

Ingresso libero, senza prenotazione.

1° dicembre ore 15.30, Sala Galmozzi (Bergamo)

Incontro a 3 voci: Bruno Fornara, Emanuela Martini, Maurizio Zaccaro (modera: Adriano Piccardi)

L’incontro in Sala Galmozzi si aprirà con una relazione introduttiva condotta da Bruno Fornara (critico, redattore di Cineforum Rivista, docente alla Scuola Holden di Torino, selezionatore per la sezione Concorso della Mostra del Cinema di Venezia), cui farà seguito un dialogo a più voci, nel quale si aggiungeranno Maurizio Zaccaro (regista e allievo di Ermanno Olmi, formatosi nell’esperienza di Ipotesi Cinema) ed Emanuela Martini (direttrice di Cineforum Rivista). L’incontro sarà coordinato da Adriano Piccardi, che di Cineforum Rivista è a sua volta redattore.

1° dicembre ore 18, Sala Galmozzi (Bergamo)
Progetto Sostenibilità-

Un foglio bianco di Maurizio Zaccaro (Italia, 2011, 91’)

Il casting, la preparazione del set, il trucco, lo studio dei personaggi con gli attori, le riprese: uno sguardo sulla lavorazione di Il villaggio di cartone di Ermanno Olmi. Gli interpreti Michael Lonsdale e Rutger Hauer, tuttavia, sfilano abbastanza rapidamente. Nel documentario, a interessare di più Zaccaro e lo stesso Olmi, sono le comparse africane che si presentano al casting: chi parla italiano correttamente, chi a malapena, chi ha un passato orribile da raccontare, chi una vita ormai stabile. Sono comunque tutti capaci di lasciare un segno profondo nel film.

«Il nostro futuro è nella ricerca delle origini e io penso che in questa ricerca l’Africa salverà noi e non viceversa, perché ci farà conoscere e ci riporterà al punto delle origini. Se abbiamo bisogno di aiuto chiediamolo a loro».

(Ermanno Olmi)

Capita spesso che l’allievo, arrivato a un determinato punto del proprio percorso professionale e umano, scelga di omaggiare il maestro, colui che alimenta con la linfa vitale quell’humus acerbo che ci spinge verso una passione. È toccante quando questo omaggio si realizza mettendo in campo proprio quegli strumenti e quegli sguardi acquisiti dal maestro. Come regalo per i suoi ottant’anni – e forse anche per il bentornato al cinema (Ermanno Olmi aveva affermato che Centochiodi, 2007, sarebbe stato il suo ultimo film) – Maurizio Zaccaro sceglie di girare un film-documentario, Un foglio bianco, seguendo passo passo la lavorazione di Il villaggio di cartone. Il film di Zaccaro riesce a essere un preambolo (o prosecuzione a seconda dell’ottica) dell’apologo di Olmi, ma allo stesso tempo si rivela come un lungometraggio a sé. Potremmo letteralmente dire che in campo c’è una macchina da presa, “invisibile”, guidata acutamente da una persona familiare, tanto da essere accettata nonostante la riservatezza del maestro.

(Maria Lucia Tangorra)

1° dicembre ore 21, Auditorium di Piazza Libertà (Bergamo)
05_Albero degli zoccoli

L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi (Italia, 1978, 186’)

Quattro famiglie di poveri contadini in una cascina della Bassa bergamasca, alla fine dell’800: il lavoro comunitario, il corso delle stagioni, gli eventi, le feste, i matrimoni, le nascite, le serate passate tutti insieme. La storia, oltre che sulle vicende della vedova Runc, della giovane coppia di sposini Maddalena e Stefano e dei Finard, è incentrata soprattutto sulla famiglia del Batistì e sul figlio Mènec di sette anni, la cui intelligenza viene notata dal parroco che vuole che continui la scuola nel villaggio vicino. Per fargli degli zoccoli nuovi, suo padre abbatte un albero appartenente al proprietario, che se ne accorge e caccia la famiglia dalla fattoria.

L’albero degli zoccoli ci è parso il film di Olmi più rappresentativo. Quanto esso mostra della cultura contadina, e il come lo mostra, costituiscono la punta più alta raggiunta dal cinema italiano dopo La terra trema. Con una differenza: che Visconti la dipingeva da aristocratico (anche l’ossequio artistico ai pescatori può essere un atto da nobile), mentre Olmi la restituisce nel suo ambiente naturale. Il conflitto vero che il film esprime – il suo asse drammatico, e il fondo della sua ispirazione poetica – sta nella dialettica tra tempo della memoria (1898) e tempo della coscienza (1978). In altre parole Olmi, che prima aveva fatto soltanto film contemporanei, non si smuove dalla contemporaneità (e non è forse la via più corretta?) neppure affrontando il suo primo film storico. La sua coscienza critica non gli permette di accettare la civiltà attuale con l’inferno che ne è conseguito e che è sotto gli occhio di tutti, anche se ciascuno di noi lo spiega con le proprie motivazioni. Ma la medesima coscienza non gli permette nemmeno di raffigurare il tempo della memoria – o il tempo dei racconti della nonna – come un paradiso perduto. Perduto certamente. Ma paradiso?

(Ugo Casiraghi, Sei preferenze. L’albero degli zoccoli, in Tullio Masoni, Adriano Piccardi, Angelo Signorelli, Paolo Vecchi, a cura di, Lontano da Roma. Il cinema di Ermanno Olmi, La Casa Usher, Firenze 1990)

L’impegno di FIC per onorare la memoria del grande maestro bergamasco intende inoltre lasciare un segno tangibile, a conclusione di “Prospettiva Olmi” e come eredità per il futuro, ovvero l’istituzione di un premio in denaro del valore di 300 euro assegnato al vincitore della Menzione speciale di “Premio Ermanno Olmi”, promosso dal Comune di Bergamo con il supporto organizzativo di Bergamo Film Meeting Onlus. Questo contributo intende essere un piccolo viatico per l’autore del cortometraggio che, in linea con la sensibilità olmiana, abbia saputo cogliere e declinare nel suo cortometraggio il tema scelto quest’anno dall’amministrazione comunale: “L’essere umano e il tempo”, un tema che Olmi ha esplorato sotto diversi aspetti in tutta la sua produzione cinematografica. La serata di premiazione si terrà martedì 5 dicembre presso l’Auditorium di Piazza della Libertà. Tra i membri della Giuria, Lorenzo Rossi (redattore di Cineforum Rivista).

Per Capitale Italiana della Cultura 2023, FIC – Federazione Italiana Cineforum è partner di AM!

In occasione di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023, l’Associazione Abbonamento Musei propone la tessera AM come strumento privilegiato per la partecipazione agli eventi del 2023, con particolare attenzione al pubblico residente e al pubblico di prossimità, obiettivo condiviso con FIC – Federazione Italiana Cineforum. AM sarà l’occasione per questo pubblico di accedere in maniera organica all’offerta culturale del 2023, integrando l’offerta museale con quella dello spettacolo dal vivo e degli eventi. AM diventa così un pass per conoscere e vivere gli eventi in programma.

Sei un abbonato a Cineforum Rivista o un tesserato di un circolo aderente alla FIC? Per te uno sconto dedicato di 5 euro sull’acquisto della tessera Abbonamento Musei Lombardia Valle D’Aosta (40 euro anziché 45 euro)*. Con la tessera accedi a tutti gli eventi del progetto “Cinema al cuore” e accumuli punti loyalty! Come? Basta inquadrare il QR code “Cinema al cuore” all’ingresso di ogni evento (biglietterie o punti di validazione). L’acquisto della tessera AM non è vincolante per l’accesso agli eventi di “Cinema al cuore”, ma se scarichi l’app e inquadri il QR code ad ogni accesso, puoi raccogliere punti e ottenere benefit! Tra i premi della campagna loyalty AM, FIC mette in palio 35 abbonamenti in formato digitale .pdf (valore 24 euro/cad.) e 15 abbonamenti cartacei (valore 40 euro/cad.).

L’app di AM sta arrivando! Tutte le info qui https://abbonamentomusei.it/

*La tessera consente l’ingresso libero ogni volta che lo si desidera, per 365 giorni dalla data di acquisto, ai siti culturali aderenti al progetto (musei, siti archeologici, ville, giardini e castelli, collezioni permanenti e temporanee, e alle mostre in essi allestite). Basta quindi presentare la tessera alla biglietteria del museo per ottenere il titolo di entrata gratuito.

PLANCIA_LOGHI_FORMATI GRANDI_VERTICALE_CMYK_230531