Cinema (di)vino.
Come il cinema e il vino raccontano il territorio e la vita

La nuova azione di FIC x BGBS2023, il progetto alla (ri)scoperta dei tesori nascosti nelle due città e nei territori circostanti attraverso il cinema e i suoi protagonisti

Una rassegna di documentari, film di finzione, incontri con critici cinematografici e protagonisti del mondo enologico per un percorso di “degustazione” tra cinema e vino, alla scoperta di analogie e differenze tra il nostro territorio e il panorama internazionale. Per ciascun film, un abbinamento enologico, talvolta esplicito talvolta evocativo, proposto da una cantina del territorio Bg-Bs: un invito al turismo lento e alla filiera corta, accompagnato da proiezioni, incontri con i protagonisti e degustazioni delle eccellenze vitivinicole del territorio. Una proposta che si inserisce perfettamente nel Cammino Bergamo-Brescia, a unire le città (come due stazioni di partenza e arrivo) e a favorire la scoperta dei luoghi che, nel mezzo, producono e tramandano competenze e “saper fare”.

Il cinema ha spesso incrociato il mondo del vino, in un reciproco abbraccio appassionato. Sono tantissimi i registi e gli attori (ma in generale i personaggi del mondo dello spettacolo) che hanno deciso di investire nel settore vinicolo, cimentandosi con successo nell’arte della produzione di vino in Italia e in giro per il mondo, spesso legando il proprio nome a una cantina. In Italia, è il caso di Lina Wertmulller (che produceva bollicine proprio qui, nella nostra Franciacorta) e Gianmarco Tognazzi (che con la sua Tognazzi Amata, a Velletri, rende omaggio al padre e ad Amici miei con i vini Tapioco, Come se fosse, Antani, Conte Mascetti). E tantissimi altri tra la California, la Francia, l’Australia e la Nuova Zelanda: Francis Ford Coppola, Kurt Russel, Brad Pitt e Angelina Jolie, Kate Hudson, Drew Barrymore, Kyle MacLachlan, Sam Neill, Gerard Depardieu, Carol Bouquet.

Il cinema è inoltre ricchissimo di citazioni enoiche, a partire da due par excellence: lo champagne (Bollinger e Dom Pérignon) per James Bond – Agente 007 e il Montrachet in La finestra sul cortile (d’altra parte è noto che Sir Alfred Hitchcock, oltre a essere un goloso di prima forza, fosse anche un appassionato di vino con una cantina impressionante, in cui la Romanée-Conti era una presenza costante); senza dimenticare Woody Allen, che spesso nei suoi film usa il vino come status symbol: lo Château Margaux in Misterioso omicidio a Manhattan, l’Haut Brion in Midnight in Paris, il Puligny-Montrachet in Match Point.

Gli 11 film selezionati per la rassegna estiva, e che pure appartengono a epoche diverse (al punto che alcuni si possono ormai considerare dei piccoli classici, mentre altri sono recenti e ancora poco conosciuti), presentano quasi tutti riferimenti puntuali e circostanziati al mondo del vino, che in alcuni è protagonista assoluto delle storie raccontate. Cosa che accade non soltanto per documentari come Resistenza naturale, Our Blood Is Wine e Le terre alte, ma anche rispetto a opere di finzione, siano esse declinate in chiave di commedia sentimentale (Racconto d’autunno) o nera (Vinodentro), di ironici dramedy (Sideways – In viaggio con Jack, Saint Amour), ovvero presentino sviluppi più apertamente drammatici (Providence, Ritorno in Borgogna). Nella fiction non sempre l’elemento enologico è trattato in maniera precisa: talvolta assistiamo a semplificazioni che rispondono a esigenze narrative, mettendo in secondo piano la componente informativa e l’esaustività, a vantaggio della citazione intrigante, del richiamo emozionale, della suggestione. Ed è quest’ultima, per esempio, a determinare gli accostamenti tra vino e film in due opere presenti nel programma, che tematicamente afferiscono ad altro rispetto al vino: Grazie ragazzi e La seconda via. La prima pellicola gioca sul collegamento tra l’ambientazione carceraria della vicenda e la produzione di vino che nella realtà viene realizzata da alcune cooperative che integrano detenuti; nella seconda, invece, un’azienda vitivinicola, per ragioni affettive, è tra i principali sostenitori di un complesso progetto cinematografico che ha portato a raccontare con modalità inedite la “ritirata di Russia” nella 2ª Guerra Mondiale.
Più in generale, tutti gli accostamenti tra film e vino sono ispirati a un criterio di “vicinanza” ideale ed emozionale che consenta allo stesso tempo una valorizzazione di etichette sulla direttrice Bergamo-Brescia e dintorni, sovente a percorsi invertiti.

In collaborazione con: FISAR – Federazione Italiana Sommelier Albergatori e Ristoratori, Laboratorio 80, Lab 80 film, Associazione culturale Nuvole in viaggio, Castel Cerreto – Cooperativa Ortofrutticola Biologica, Slow Food Bassa Bergamasca, Pro Loco Treviglio, Il gruppo promotore di Cinema per noi, La Baita di Tranquillo, Comune di San Felice del Benaco, Filmfestival del Garda, Sipario!, Fondazione Brescia Musei – Cinema Nuovo Eden.

Tra le cantine che aderiscono all’iniziativa: Azienda agricola Tassodine (Villa d’Adda, BG), Cantina 1701 (Cazzago San Martino, BS), Azienda Agricola Gualberto Ricci Curbastro & Figli (Capriolo, BS), Azienda Agricola La Boscaiola Vigneti Cenci (Cologne, BS), Cantina Sociale Bergamasca (San Paolo d’Argon, BG), Azienda Agricola Tosca (Pontida, BG), Marcel Zanolari (Casa Vinicola La Torre, Bianzone, SO) e La Baita di Tranquillo (Pontirolo Nuovo, BG).

Cortile Biblioteca Caversazzi, Via Tasso 4 (Bergamo)
3 giovedì sera, ore 20.45 degustazione tematica, ore 21.30 proiezione

Giovedì 6 luglio
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Grazie ragazzi di Riccardo Milani
Italia, 2023, 117’, col.

Di fronte alla mancanza di offerte di lavoro, Antonio, attore appassionato ma spesso disoccupato, accetta un lavoro offertogli da un vecchio amico e collega come insegnante di un laboratorio teatrale all’interno di un istituto penitenziario. All’inizio titubante, scopre del talento nell’improbabile compagnia di detenuti e questo riaccende in lui la passione e la voglia di fare teatro, al punto da convincere la severa direttrice del carcere a mettere in scena Aspettando Godot di Beckett su un vero palcoscenico teatrale. Giorno dopo giorno i detenuti sono catturati dalla risolutezza di Antonio e rivelano una passione e un talento profondi quanto inattesi.

Sono andato spesso a girare o a presentare alcuni miei film nelle carceri e ho scoperto che in quei contesti sono sempre esistite certe forme di attività inclusiva. Avevo iniziato a conoscere le strutture, l’ambiente, le persone, i direttori e a costruire a poco a poco un’idea di racconto. Ho cercato di descrivere l’ambiente penitenziario nel modo più fruibile possibile per un pubblico più largo, senza nasconderne le criticità, ma cercando di condividere meglio le sensazioni attraverso l’ironia, evitando di girare un film troppo cupo. In carcere è necessario fare i conti con condizioni e situazioni dure, ma ho pensato che certe durezze nel cinema possano essere smussate e raccontate filtrandole con il registro della commedia. Credo che Grazie ragazzi sia in fondo una commedia umana, una storia che racconta in chiave divertente una tematica impegnativa come quella della vita nelle carceri e dei detenuti che hanno alle loro spalle un’esperienza importante. È anche un film sul teatro e sul mestiere dell’attore che cerca di scavare profondamente in quel contesto anche da un punto di vista umano, raccontando che, quando prendono corpo certe dinamiche, scatta qualcosa in più, una sorta di magia indefinibile che porterà quei detenuti così lontani da quel mondo a trarre qualcosa di enorme da quell’esperienza.

(dichiarazioni del regista Riccardo Milani, dal pressbook del film)

Abbinamento (di)vino: Azienda Agricola Gualberto Ricci Curbastro & Figli (Capriolo, BS)

Giovedì 20 luglio
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La seconda via
di Alessandro Garilli
Italia/Slovenia, 2023, 90’, col. 

Inizio del 1943. Sul fronte russo, la compagnia 604 è costretta ad affrontare l’inverno della steppa per evitare l’accerchiamento nemico. Quando sopraggiunge la notte, però, di tutta la compagnia sopravvivono solo sei alpini: il sergente Bisi, Zaina, Prati, Artico, Ferri, il tenente Sala, e un mulo, Remagio. I superstiti avanzano nel silenzio per arrivare al villaggio più vicino, sotto una neve incessante, mentre la temperatura tocca i trenta sotto zero. L’esasperante cammino attraverso il deserto bianco e il disorientamento causato dal freddo intenso e dal buio fa perdere la concezione del tempo agli uomini, che si rifugiano in una dimensione onirica.

Al suo esordio cinematografico, Alessandro Garilli decide di raccontare al cinema le difficili condizioni psicofisiche degli alpini sul fronte russo durante la ritirata del 1943. «L’urgenza narrativa di questo film nasce da ragioni più intime, che hanno a che vedere con la sofferenza di chi ha compiuto questo surreale cammino e che mi hanno portato a scrivere una storia di uomini nella guerra», ha spiegato il regista. Al centro dell’opera c’è il tema della perdita della concezione del tempo: lo spazio fisico in cui un uomo sosta a lungo, diventa qui spazio mentale. «Così gli Alpini, attraversando la steppa, si trovarono a battere due vie: una prima fatta di passi veri nella neve e una “seconda via” (da qui il titolo) mentale, dove sogni, ricordi e realtà si confondevano, dilatando inevitabilmente la percezione del tempo», ha aggiunto. Questo spiega il motivo per cui la pellicola si sviluppa su differenti piani temporali che si dissolvono tra loro, accompagnando lo spettatore in quella particolare dimensione privata in cui si rifugiarono i soldati italiani per sopravvivere. […] Nel cast Nicola Adobati, nei panni dell’alpino Ferri: «Questo personaggio incarna un po’ la mia bergamaschità. È la storia di una vecchia generazione che non c’è più», ha affermato l’attore.

(www.comingsoon.it)

Abbinamento (di)vino: Azienda Agricola La Boscaiola Vigneti Cenci (Cologne, BS)

Giovedì 3 agosto
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Vinodentro
di Ferdinando Vicentini Orgnani
Italia/Germania, 2014, 100’, col. 

In collaborazione con MADE Film Festival

Una degustazione di vino Marzemino cambia completamente la vita al mite Giovanni Cuttin. Impiegato di banca modello, marito fedele, Giovanni sviluppa una fortissima passione per il vino che lo porta in breve tempo a diventare il più grande sommelier italiano. A portarlo su questa strada è stato un enigmatico Professore, che gli ha suggerito di partecipare alla degustazione e gli ha predetto un futuro strabiliante. Sempre più sicuro di sé, Giovanni vede la sua carriera lavorativa impennarsi, di pari passo con le sue vieppiù numerose conquiste amorose. Questa nuova vita ha però il suo rovescio: un giorno viene trovata uccisa la moglie Adele, e il primo a essere sospettato è lui.

«In Italia non è mai stato fatto un film sul mondo del vino che approfondisca anche la materia da un punto di vista tecnico», ha raccontato il regista «Io vengo da una famiglia di produttori di vino, sono molti anni che pensavo di fare un film sul vino, ho letto il romanzo di Fabio Marcotto e con la sceneggiatrice Heidrun Schleef abbiamo scritto una storia originale che gravita intorno a questo mondo, ma è un noir, una storia con un’indagine, c’è un commissario di polizia, una donna misteriosa e poi ovviamente il vino come protagonista». Per il film Vicentini Orgnani ha detto di essersi rivolto a esperti, sommelier, ha coinvolto artisti, amici, il fumettista Emanuele Barison, disegnatore di Diabolik che ha realizzato una graphic novel sul film, ma soprattutto ci ha messo tanto della sua esperienza sul vino e qualche aneddoto privato, come ci ha svelato: «Quando mi sono separato mia moglie, lei ha tenuto in ostaggio un po’ per divertimento, un po’ per scherzo la mia collezione di libri firmati dai miei amici, e mi minacciava: te li strappo. Quando ho raccontato a Heidrun Schleef l’episodio, ha detto “benissimo, allora la moglie tiene in ostaggio le sue bottiglie e quindi lo ricatta”. In un film si mettono tante piccole cose che uno ha vissuto».

(TMNews, Il vino arriva al cinema con Vinodentro, tra noir e commedia, «Internazionale», 9 settembre 2014)

Abbinamento (di)vino: Azienda Agricola Cantrina (Bedizzole, BS)

Via Canonica 150 (Treviglio, BG)
4 mercoledì sera, dal 28 giugno
Ingresso ad ogni serata: 10 euro (non è richiesta prenotazione)
ore 20.30 degustazione tematica + aperitivo con tagliere salumi e formaggi della Valchiavenna (a cura di La Baita di Tranquillo, Pontirolo Nuovo, BG)
ore 21.30 proiezione

Mercoledì 28 giugno
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Resistenza naturale
di Jonathan Nossiter
Italia/Francia, 2014, 85’, col. 

In un antico monastero in Toscana, Giovanna Tiezzi e Stefano Borsa hanno creato un legame con l’antica cultura etrusca grazie alla loro cantina; i milanesi Corrado Dottori e Valerio Bochi si sono trasferiti nella cascina dei loro nonni nelle Marche dove si impegnano per un’espressione rurale di giustizia sociale; Elena Pantaleoni, ex bibliotecaria, lavora alla sua utopia nei vigneti di famiglia in Emilia; Stefano Bellotti, nella sua fattoria in Piemonte, è considerato il Pasolini dell’agricoltura italiana. Questi rivoluzionari del vino naturale offrono un modello di Resistenza incantato e gioioso; una Resistenza naturale che intende risvegliare il ribelle nascosto in ognuno di noi.

Resistenza naturale è un elogio degli italiani del vino naturale e, assieme, un racconto della nostra cultura contadina vista con gli occhi del cinema. Tanto pessimista era Mondovino, tra descrizioni di affari e speculazioni, quanto giocoso è Resistenza naturale. Perché – questa è l’idea di Nossiter – i trecento-quattrocento vignaioli naturali d’Italia sono artigiani, ma anche veri artisti moderni. Arte concreta, seguendo il pensiero di Edith Wharton, l’autrice dell’Età dell’innocenza: «L’abitudine di considerare l’arte una cosa separata dalla vita è fatale nell’evoluzione del gusto». «Non è un film sul vino», premette Nossiter «ma sul rapporto tra cinema e agricoltura». Non è un documentario, anche se racconta le vite e le idee dei quattro produttori. […] Il regista usa citazioni e spezzoni di Charlie Chaplin, Mario Soldati, Alfred Hitchcock, Roberto Rossellini, Gian Vittorio Baldi. Cosa sia il vino naturale lo spiega Giovanna Tiezzi nel film: «È più importante quello che non c’è di quello che c’è». Ovvero niente prodotti chimici, solo uva e un po’ di anidride solforosa, a volte neppure quella. Il primo effetto è sulla salute, una benefica assenza di mal testa. «Risveglio di contadini illuminati», così lo definisce il regista.

(Luciano Ferraro, Resistenza naturale, «Il Corriere della Sera», 7 febbraio 2014)

Abbinamento (di)vino: Cantina 1701 (Cazzago San Martino, BS)

Mercoledì 5 luglio
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Our Blood Is Wine
di Emily Railsback
Usa, 2018, 78’, col. 

Si ringrazia per la collaborazione Trento Film Festival.

La regista Emily Railsback e il pluripremiato sommelier Jeremy Quinn forniscono un accesso intimo alla vita rurale nella Repubblica della Georgia esplorando la rinascita di tradizioni vinicole di ottomila anni che durante il periodo del dominio sovietico erano andate quasi perdute. Railsback porta allo spettatore le voci e le eredità ancestrali dei georgiani moderni, rivelando una società intricata e resiliente che è sopravvissuta alle sistematiche ingerenze straniere e ai ripetuti tentativi di cancellare la sua cultura. La rinascita della vinificazione tradizionale è la forza centrale che spinge questa nazione potente, indipendente e autonoma a trovare la sua identità del XXI secolo.

Se, come me, l’anno scorso avete bevuto più del solito, non avrete bisogno di essere convinti a guardare Our Blood Is Wine, un documentario un po’ alticcio e assolutamente affascinante sulla vinificazione nella Georgia post-sovietica. Accompagnata con entusiasmo dal sommelier Jeremy Quinn, Emily Railsback setaccia il Paese alla scoperta di viticoltori indipendenti e antiche tradizioni. Il vino di fabbrica “omologato” prodotto sotto i sovietici è una macchia che questi artigiani sono ansiosi di cancellare. Impiegando un metodo di fermentazione sotterranea, antico migliaia d’anni, seppelliscono il mosto in vasi di terracotta fatti a mano. Nove mesi dopo nasce una bevanda deliziosa, la cui degustazione è descritta come un’esperienza sacra, e un estatico signor Quinn concorda. Tra un sorso e l’altro, vengono consultati vari esperti, i cui sobri contributi fanno risalire questo vino alla turbolenta storia della Georgia. Le vere star sono i viticoltori: giovani o meno giovani, imprenditori o produttori di famiglia, tutti appassionati e poetici promotori della loro amata bevanda. Dopo aver sentito dire che le rigogliose viti della Georgia non erano dovute al fertilizzante, ma al suolo intriso del sangue di secoli di invasori, potreste non intendere mai più allo stesso modo il termine “corposo”.

(Jeannette Catsoulis, In Our Blood Is Wine, Raising Glasses to Tradition in an Ex-Soviet State, «The New York Times», 15 marzo 2018)

Abinamento (di)vino: Mo.Ka. – I vini di Alberto (Pontida, BG)

Mercoledì 12 luglio
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Le terre alte
di Andrea Zambelli e Andrea Zanoli
Italia, 2020, 87’, col.

 Un anno di vita attraverso tutto l’arco alpino, dal disgelo all’arrivo dell’inverno, attraverso gli occhi, i gesti e le riflessioni di tre personaggi: Virginie, Marcel e Valentin. Lontani dallo stereotipo dell’uomo di montagna, le figure che qui vengono seguite sono espressione di una tendenza contemporanea, resistente e alle volte innovativa, di vivere e lavorare sul territorio alpino. Un ruralismo di ritorno che è per loro, al tempo stesso, una scelta politica e spirituale.

A introdurre il film è questa citazione di Goethe: «I monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi». In effetti nel corso dei quasi novanta minuti del documentario sono poche le parole che i tre “protagonisti” pronunciano. Virginie alleva capre, Marcel produce vino e Valentin coltiva ortaggi. Zanoli e Zambelli hanno percorso l’intero arco alpino e lo raccontano agli spettatori attraverso un polittico in quattro quadri, uno per ciascuna stagione dell’anno. È in realtà la natura, con la sua ricchezza – complessa e delicata – la vera protagonista del lungometraggio. Così hanno detto i due registi: «A colpirci è stata soprattutto l’impressione di resistenza, di libertà. Come se nell’ambiente alpino, duro ed esigente, queste persone avessero trovato un proprio senso, che altrove invece mancava. Nel film abbiamo cercato di raccontarlo».

(www.alibionline.it, 15 aprile 2023)

Le terre alte racconta un anno di vita in montagna, sulle Alpi, dal disgelo all’arrivo dell’inverno, di tre personaggi: Virginie, Marcel e Valentin. Tre giovani, lontani dallo stereotipo dell’uomo e della donna di montagna, espressione, invece, di una tendenza contemporanea, resistente e alle volte innovativa, di vivere e lavorare in alta quota. Le telecamere di Andrea Zanoli e Andrea Zambelli hanno dipinto con colori vividi panorami mozzafiato, raccontando la storia della passione che ha portato i tre giovani, a volte contro tutto e tutti, a confrontarsi con le tante difficoltà della montagna e gli inevitabili insuccessi, senza mai mettere in discussione la loro scelta di felicità.

(Roberto L. Vitali, Le terre alte”, storia di giovani resistenti che vivono e lavorano in montagna, «L’Eco di Bergamo», 25 agosto 2021)

Abbinamento (di)vino: Tenuta Scerscé (Tirano, SO)

Mercoledì 19 luglio
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Sideways
di Alexander Payne
Usa, 2004, 127’, col.

Due uomini sulla quarantina, l’insegnante e scrittore Miles Raymond e l’ex attore Jack Cole, intraprendono un viaggio di una settimana percorrendo in lungo e in largo la zona vinicola di Santa Ynez Valley, nella contea di Santa Barbara in California. Il pretesto è celebrare l’imminente matrimonio di Jack, ma Miles conta anche di fare una sorta di “ripasso generale” in vista della stesura di un libro sul vino che lui, appassionato estimatore, intende da tempo scrivere. Il programma è, rispettivamente, per Miles: bere bene, mangiar bene, giocare a golf e non pensare alla sua ex moglie; per Jack: avere un’ultima avventura libertina. Programmi che, ovviamente, non andranno così lisci.

L’originalità del film di Payne consiste nel rifiuto dell’iconografia della California imposta dalla lunga tradizione a cui, sia pure in maniera obliqua, fa riferimento. Miles e Jack, invece che sulle highways celebrate da Kerouac e Dylan, si muovono infatti lungo le poco frequentate strade laterali a cui rimanda il titolo, in quella Napa Valley nella quale un lungimirante ungherese ebbe l’intuizione di trasferire alcuni nobili vitigni europei che dal nuovo terroir derivarono impensabili sfumature di gusto e profumi. Nel raccontare questo paesaggio sostanzialmente inedito, il regista trova un’indubbia felicità di tocco. […] Il vino assunto come parametro, come scala di valori, infine come metafora di una situazione esistenziale, ci sembra uno degli aspetti più interessanti del film di Payne. In effetti, il protagonista è un alcolizzato, cioè esattamente il contrario di un amante del vino. Pertinente, ancorché velleitario, appare tuttavia il suo identificarsi col Pinot noir, un vitigno notoriamente difficile perché delicato e sensibile alle intemperie, ma dal risultato incomparabile una volta portato a giusta maturazione. Ed efficace, sempre sul piano della metafora, la decisione di consumare il mitico Cheval Blanc – «un des deux crus les plus prestigieux de Saint-Emilion» – in un triste McDonald. Dietro questo soprassalto da pre-finale c’è ovviamente il consiglio di Maya, di non cercare l’occasione per bere un grande vino perché è sufficiente la bottiglia stessa a creare (o comunque giustificare) l’evento.

(Paolo Vecchi, In vino veritas (ma anche nel sesso…), «Cineforum» n. 443, aprile 2005)

Abbinamento (di)vino: Azienda agricola Tassodine (Villa d’Adda, BG)

Parco del Viridarium, all’interno del Museo di Santa Giulia, Via Musei 81/B (Brescia)
2 proiezioni con degustazione tematica: aperitivo c/o spazio ristoro eventi “Stasera? Museo!”, ore 18.00-21.00

Giovedì 10 agosto, ore 19

Incontro con il critico: “Cinema (di)vino” con Enrico Danesi presso la White Room del Museo di Santa Giulia, Via dei Musei 81

Giovedì 10 agosto, ore 21.15
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Conte d’automne / Racconto d’autunno
di Eric Rohmer
Francia, 1998, 112’, col.

v. o. sott. it. 

Magali è una viticoltrice della Drôme vedova da cinque anni. La sua amica d’infanzia Isabelle mette un annuncio su un giornale di appuntamenti, a seguito del quale incontra Gérald per ben tre volte, prima di dirgli che vorrebbe presentarlo alla sua amica Magali. Nel frattempo, Rosine, la fidanzata del figlio di Magali, le combina un incontro con il suo ex insegnante di filosofia e amante Étienne. Durante la festa di matrimonio della figlia di Isabelle, i giochi si intrecciano e si compiono. Tra Étienne (che predilige le ragazze più giovani) e Magali non nasce nulla; d’altronde tra lei e Gérald scoccherà una fiamma.

Dai Sei racconti morali a Commedie e proverbi, da Racconto d’inverno a Racconto d’estate, nel cinema di Éric Rohmer vi è rimasta un’incognita, quasi un tabù: l’età. Come si invecchia nella terra dei dialettici ragazzini rohmeriani? Finora non si sapeva. Ma ecco che questo Racconto d’autunno cambia la prospettiva. Adesso la quarantina (femminile) ha improvvisamente diritto di cittadinanza, anzi, conquista una sua stella nell’universo giovanile del regista. È così che si invecchia in Rohmer: come ovunque. Ma si invecchia bene, si invecchia in modo divertente. Si invecchia bene perché c’è, dietro questa nuova suspense di parole e sentimenti, una giocosa galanteria alla Pigmalione, che consiste nel far recitare alle due dame quel tipo di intrigo che Rohmer è solito riservare alle damigelle. Per Isabelle, lo scherzo intrigante che consisteva nel sedurre uno sconosciuto a beneficio della sua amica non finisce senza una certa malinconia, un po’ come se fosse l’ultima volta. Onore al regista che riesce a suggerirlo con una sola inquadratura furtiva. Magali dichiara incidentalmente: «La vendemmia è finita». Forse, ma anche quest’anno il Rohmer Nouveau è inebriante quanto basta.

(Louis Guichard, Conte d’automne, «Télérama», 23 settembre 1998)

Abbinamento (di)vino: Azienda Agricola Tosca (Pontida, BG)

Giovedì 24 agosto, ore 21.15
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Providence
di Alain Resnais
Francia/Svizzera/Gran Bretagna, 1977, 110’, col. 

v. o. sott. it. 

Clive Langham, anziano scrittore tormentato dai ricordi e dall’inesorabile passare del tempo, vive una notte sospesa fra realtà e immaginazione nella quale, con la compagnia delle bottiglie di Chablis che si scola una dietro l’altra, ordina le persone che hanno popolato il suo passato in una sorta di romanzo. Ricorda la moglie suicida, il figlio Claude avvocato di successo, la nuora Sonia, l’altro figlio Kevin. Più che le persone reali, i veri protagonisti di questo suo “romanzo” sono le sue ossessioni, i suoi sensi di colpa. L’indomani, i figli e la nuora giungono a casa sua per festeggiarne il compleanno. Vedendoli nella loro reale natura, Clive ha modo di rincuorarsi.

Il vino riscalda, lega alla terra, stimola la fantasia, provoca l’ebbrezza, cioè quello stato di grazia in cui l’uomo vede le cose più lucidamente, parla col dio, partecipa del mistero. È anche un modo per scacciare l’angoscia, si capisce. Per dimenticare: eppure il passato non è tutto da dimenticare, la memoria non è tutta angoscia, basta farla rivivere, basta “utilizzarla” per il presente. È uno dei temi fissi di Resnais. «Ti ricordi, Molly..?», e Clive, che ha molto da farsi perdonare, trova in certi ricordi la forza di affrontare la sua sorte. Anche se, in buona sostanza, il passato spesso illude e rimanda ad altro; come l’esistenza presente, del resto. Che è il tema specifico di Muriel, film al quale una situazione di Providence rimanda apertamente, quella di Claude che va a visitare Helen, l’ex amante («Chi non conosce quell’insieme di eccitazione e di timore che si prova quando si va a trovare una vecchia fiamma..?»). Vivere resta sempre aleatorio e problematico; in fondo non si conosce neppure la differenza tra vivere e morire, il passaggio è confuso. Alla tronfia e volgare affermazione che l’uomo dovrebbe vivere come se fosse immortale, Claude ne contrappone una opposta: «Si dovrebbe vivere come se si stesse per morire, non fra una settimana, ma subito», affermazione che Clive commenta con sarcasmo ma della quale ha paura.

(Ermanno Comuzio, Scheda “Providence”, «Cineforum» n. 165-166, maggio-giugno 1977)

Abbinamento (di)vino: Cantina Sociale Bergamasca (San Paolo d’Argon, BG)

Cortile del Comune, Via XX Settembre (San Felice del Benaco, BS)
2 proiezioni, ore 20.45 degustazione tematica, ore 21.30 proiezione

Giovedì 13 luglio
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Ce qui nous lie
di Cédric Klapisch
Francia, 2017, 113’, col.

Jean ha lasciato il vigneto di famiglia in Borgogna e si è stabilito in Australia, dove produce vino in proprio. Dopo dieci anni, alla notizia inaspettata che il padre si è gravemente ammalato, un po’ a malincuore torna in Francia. Qui trova la sorella minore Juliette e il fratello Jérémie, che ha messo su famiglia. Il padre muore pochi giorni dopo, e i fratelli si ritrovano ad affrontare contemporaneamente sia il lutto che i problemi derivanti dalla successione della proprietà della tenuta e dall’imminente vendemmia, per la prima volta in vita loro senza poter fare ricorso all’esperienza del padre.

Man mano che la storia di Ritorno in Borgogna procede, spesso sembra che piccoli avvenimenti come telefonate, o la tempestiva rimozione di una lettera dalla tasca della giacca, possano risparmiare a questo clan di vignaioli oceani di risentimento. È così che funziona la modalità comfort-food di Cédric Klapisch, che è principalmente un’ode scenica e sapiente alla vinificazione tradizionale. Il signor Klapisch indugia amorevolmente con la macchina da presa sull’uva che viene raccolta e pigiata, impiegando per tutto il tempo le meccaniche della storia e i flashback in maniera così indiscreta da suggerire il movimento di una macchina per miscelare il mosto. In una storia che deve qualcosa all’acclamato Ore d’estate di Olivier Assayas, questi fratelli semiglobalizzati devono trovare un modo per riconciliare i loro obiettivi, oltre che provvedere alla divisione della proprietà ereditata. Mentre Jean, e le sue difficoltà di rapporto con la sua compagna lontana, attirano la maggior parte dell’attenzione, e Juliette rimane un po’ sullo sfondo, a Jérémie viene riservato l’incubo più grande: un suocero vinificatore perfezionista.

(Ben Kenigsberg, Review: ‘Back to Burgundy’, a Lightheaded Ode to Winemaking, «The New York Times», 22 marzo 2018)

Abbinamento (di)vino: Cantina Marsadri (Puegnano sul Garda, BS)

Martedì 25 luglio
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Saint Amour
di Benoît Delépine e Gustave Kervern
Francia/Belgio, 2016, 101’, col.

Come ogni anno Bruno, agricoltore un po’ troppo concentrato sul bere, e suo padre Jean, allevatore di bestiame, partecipano al Salon de l’Agriculture. Mentre Jean vorrebbe che Bruno rilevasse l’azienda di famiglia, lui pensa solo ad annegare il suo disagio nell’alcol attraverso un “percorso del vino” improvvisato nel soggiorno di casa. Desideroso di riconnettersi con Bruno dopo la recente morte della moglie, Jean offre a suo figlio di realizzare in loco questo itinerario enologico. Accompagnati da un misterioso tassista di nome Mike, i due uomini partono per un viaggio di una settimana lungo le strade di Francia…

Come suggerisce il titolo, questo road movie si trova all’incrocio fra la Trinità e la divina bottiglia, da qualche parte fra Gesù e Rabelais. I personaggi sono persone innocenti dalle mani sporche, il cui pellegrinaggio segue il percorso dei vigneti. Quindi eccoci, più o meno, con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sulle strade di Francia, a svuotare tanti bicchieri e a cercare di salvare il futuro del mondo contadino, mappando di sfuggita una Francia deprimente e insolita (popolata da personaggi come Houellebecq, nel ruolo del proprietario fallito di un bed & breakfast, Ovidie come agente immobiliare saffica, Solène Rigot come cameriera catatonica). Decostruzione narrativa, Saint Amour è anche l’incontro di due grandi influenze, quella di I santissimi di Bertrand Blier per il tandem Depardieu-Poelvoorde (dove Gérard, rasserenato, sembra riprendere la strada a ritroso in compagnia di un incontrollabile partner che interpreta il figlio – stessa voglia di trasgressione, stessa erratica traversata della Francia, stesso ruolo fondamentale delle donne che incontrano sul loro cammino, stessa fine miracolosa), e Broken Flowers di Jim Jarmush per il personaggio interpretato da Vincent Lacoste, che approfitta di questo viaggio per suonare il campanello a tutte le sue ex.

(Jacques Mandelbaum, «Saint Amour»: la descente plutôt que l’élevage, «Le Monde», 19 febbraio 2016)

Per Capitale Italiana della Cultura 2023, FIC – Federazione Italiana Cineforum è partner di AM!

In occasione di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023, l’Associazione Abbonamento Musei propone la tessera AM come strumento privilegiato per la partecipazione agli eventi del 2023, con particolare attenzione al pubblico residente e al pubblico di prossimità, obiettivo condiviso con FIC – Federazione Italiana Cineforum. AM sarà l’occasione per questo pubblico di accedere in maniera organica all’offerta culturale del 2023, integrando l’offerta museale con quella dello spettacolo dal vivo e degli eventi. AM diventa così un pass per conoscere e vivere gli eventi in programma.

Sei un abbonato a Cineforum Rivista o un tesserato di un circolo aderente alla FIC? Per te uno sconto dedicato di 5 euro sull’acquisto della tessera Abbonamento Musei Lombardia Valle D’Aosta (40 euro anziché 45 euro)*. Con la tessera accedi a tutti gli eventi del progetto “Cinema al cuore” e accumuli punti loyalty! Come? Basta inquadrare il QR code “Cinema al cuore” all’ingresso di ogni evento (biglietterie o punti di validazione). L’acquisto della tessera AM non è vincolante per l’accesso agli eventi di “Cinema al cuore”, ma se scarichi l’app e inquadri il QR code ad ogni accesso, puoi raccogliere punti e ottenere benefit! Tra i premi della campagna loyalty AM, FIC mette in palio 35 abbonamenti in formato digitale .pdf (valore 24 euro/cad.) e 15 abbonamenti cartacei (valore 40 euro/cad.).

L’app di AM sta arrivando! Tutte le info qui https://abbonamentomusei.it/

*La tessera consente l’ingresso libero ogni volta che lo si desidera, per 365 giorni dalla data di acquisto, ai siti culturali aderenti al progetto (musei, siti archeologici, ville, giardini e castelli, collezioni permanenti e temporanee, e alle mostre in essi allestite). Basta quindi presentare la tessera alla biglietteria del museo per ottenere il titolo di entrata gratuito.

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